A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Dopo aver parlato negli scorsi due articoli di tutto ciò che si trova nell'abitato di Chiaravalle, escludendone la famosissima Abbazia, è giunto il momento di renderle onore.
In questi due articoli infatti esamineremo il noto edificio religioso da un punto di vista prima storico e poi artistico; non pretendo di esaurire il tema, ma di dare un'idea della sua importanza e bellezza a chi non vi fosse mai stato (e che invito in questo caso ad andarvi immediatamente).
Iniziamo con la storia, che ci parla del XII secolo, ed il primo documento è in realtà una lapide, che era situata sulla porta che dal chiostro portava alla chiesa: su di essa si trova la data 22 gennaio 1135, che pare essere la data della posa della prima pietra; il luogo della costruzione era una località chiamata Bagnolo in loco Roveniano (o Rovegnano). Per certo il 22 luglio 1135 venne inaugurato un primo edificio, di cui però nulla è rimasto.
Verso la fine del 1134 era infatti giunto a Milano un gruppetto di Cistercensi provenienti da Clairvaux (cittadina della Borgogna in cui si trovava un'abbazia cistercense, fondata da Bernardo di Fontaines) ed erano stati ospitati dai benedettini di Sant'Ambrogio. Con loro era lo stesso Bernardo, di passaggio a Milano per dare sostegno a papa Innocenzo II, contro il quale era stato eletto l'antipapa Anacleto II. La sua predicazione risultò così convincente che il clero milanese avrebbe voluto eleggerlo come vescovo della città. Egli però declinò l'offerta e decise invece di fondare, in una zona paludosa a sud-est della città, una nuova abbazia, che prenderà il nome di Chiaravalle da quelle borgognona di Clairvaux; in particolare il monastero sarà eretto sulla terra di un certo Girardo Agonis, a 4 miglia dalla città, e verrà citato già in un documento dell'ottobre 1135.
Le prime costruzioni realizzate dai religiosi furono provvisorie, e solo nel periodo tra il 1150 e il 1160 venne iniziata la costruzione della chiesa attuale, che poi si protrasse per circa 70 anni, fino al 1221; di quella originaria del 1135 non rimane oggi alcuna traccia. Il materiale scelto per la costruzione fu il laterizio, all'epoca abbondante nella zona, ed i lavori ebbero inizio dalla parte orientale della chiesa (abside e coro), per consentire in breve tempo l'avvio delle pratiche religiose; insieme vennero costruiti il dormitorio e gli ambienti comuni per i monaci. Nel 1196 vennero consacrati i primi altari e il 2 maggio 1221 l'arcivescovo Enrico Settala consacrò la chiesa ultimata.
Durante il XIII secolo i lavori proseguirono nella realizzazione del primo Chiostro, situato a sud della chiesa, ed in seguito, nel XIV secolo, vennero realizzati il tiburio e il refettorio. Nel 1412 venne costruita per volere dell'abate una piccola cappella, posizionata in corrispondenza del transetto meridionale, rimaneggiata nel XVII secolo e oggi utilizzata come sacristia.
In seguito, nel 1490, il Bramante e Giovanni Antonio Amadeo su commissione del cardinale Ascanio Maria Sforza Visconti, fratello di Ludovico il Moro, iniziarono a costruire il Chiostro Grande e il capitolo.
E durante il periodo Rinascimentale molti pittori e artisti lavorarono all'Abbazia; a questo periodo risalgono ad esempio le opere di Bernardino Luini. In seguito, tra il 1614 e il 1616, i Fiammenghini ebbero l'incarico di decorare le pareti interne della chiesa, che vennero letteralmente ricoperte di affreschi visibili ancora oggi.
Tra il secolo XIII e il XIV, la proprietà dell'abbazia di Chiaravalle si espanse nei territori limitrofi, coltivati con l'ingegnoso sistema della marcite, inventate appunto dai Cistercensi; l'espansione proseguì nei secoli successivi, tanto che nel 1722, in un'inchiesta preparatoria per il catasto Teresiano, risultò che la superficie totale della comunità ammontava a 10.000 pertiche, pari a 654 ettari, e che nel borgo esistevano una ventina di case da massaro, in gran parte di proprietà del monastero, due mulini e un'osteria.
La storia dell'abbazia proseguì tranquilla nei secoli fino alla cacciata dei monaci da parte della Repubblica Cisalpina nell'anno 1798; in quell'anno infatti la chiesa diventò parrocchia del paese vicino e i beni dell'abbazia vennero venduti, dando così il via alla demolizione del monastero. Rimasero intatti soltanto la chiesa, una parte del chiostro piccolo, il refettorio e gli edifici dell'ingresso.
Nel 1861, poi, per far spazio alla linea ferroviaria Milano-Pavia-Genova, il Chiostro Grande (attribuito al Bramante) venne distrutto.
Fu solo nel 1894 che l'Ufficio per la Conservazione dei Monumenti comprò l'abbazia dai privati che l'abitavano e iniziò il restauro del complesso, prima affidandolo a Luca Beltrami, poi nel 1905 a Gaetano Moretti, a cui si deve il restauro della torre nolare, nel 1926 con il ripristino della facciata originaria eliminando le sovrastrutture barocche, nel 1945-1954 con ulteriori restauri e la ricollocazione del Coro Ligneo nella navata centrale (era stato infatti spostato nella Certosa di Pavia per precauzione).
Nel 1952 tornarono i cistercensi nell'abbazia, grazie all'intervento del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, e ripresero il possesso del monastero, ma a patto di riuscire a terminare i restauri entro 9 anni e, in questo modo, ottennero l'uso dell'abbazia e delle terre a essa adiacenti per i successivi 29 anni, rinnovabili.
Tra il 1970 ed il 1972 si effettuarono i restauri degli affreschi del tiburio ed anche in anni recenti sono stati svolti i restauri degli affreschi della torre nolare e degli edifici dell'ingresso.